Dott. Franco Sponziello
Psicologo

Articoli e pubblicazioni - Anno 2019

Altri anni:


Volentieri cedo questo spazio al comunicato degli Psicologi ostunesi che sottoscrivo totalmente
Immigrazione e Sicurezza – Impatto sui territori D.L. n. 113/2018
All’Ordine degli Psicologi della Regione Puglia
Al Sindaco, agli Assessori ed ai Consiglieri comunali del Comune di Ostuni
Agli organi di stampa
Come cittadini e come psicologi pugliesi e italiani, non possiamo rimanere inerti di fronte all’ingiustizia e alle crudeltà che si perpetrano quotidianamente sulla pelle degli ultimi, per iniziativa di chi detta leggi inique e con il silenzio complice di chi non vi si oppone con forza. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla quotidiana barbarie verso persone che hanno l’unica colpa di essere disperate, fragili, indifese e quindi facile obiettivo di una politica xenofoba, bisognosa di individuare un capro espiatorio per i mali che affliggono il nostro Paese. La nostra scelta personale e professionale è stata ed è quella di prenderci cura del disagio e delle sofferenze umane. Per questo, non possiamo e non vogliamo far finta di nulla dinanzi ai corpi torturati di un’umanità che bussa alle porte e per cui l’opinione pubblica sembra assolutamente desensibilizzata. “Restiamo umani” non è solo un incitamento verso l’Altro: è soprattutto un richiamo disperato al rischio della disumanità che cova dentro noi stessi. L’attuazione del recente cosiddetto “Decreto per la sicurezza” si prefigura come l’ennesimo passo che renderà questo rischio concreto e purtroppo irreversibile. Tanti nostri colleghi che lavorano sul territorio denunciano quotidianamente situazioni drammatiche. I beneficiari di Protezione Umanitaria (tra cui soggetti vulnerabili come madri sole con bimbi, persone con problemi fisici e psicologici e altre fragilità) finora ospitati presso i Centri di Accoglienza, “grazie” a questo decreto-legge non potranno più essere inseriti in progetti SPRAR e dovranno lasciare tempestivamente i Centri di Accoglienza Straordinaria non appena ritirato il permesso di soggiorno. Tanti di loro sono neo maggiorenni e saranno costretti a vivere per strada, senza nessun servizio di integrazione, come poter studiare la lingua italiana o avere assistenza psicologica. Questi servizi, fondamentali ad una vera integrazione e sicurezza, sono banditi dal nuovo Decreto Legge. Alcuni verranno letteralmente gettati per strada: donne già traumatizzate per l’inferno che hanno attraversato, bambini in stato di disagio, malati e impauriti, abbandonati a se stessi. Sta già accadendo! Le strade si riempiranno di persone disperate, facili vittime della delinquenza e della violenza razzista. E tutto questo paradossalmente sarà utilizzato da chi ha formulato la legge per confermare l’esistenza di un “problema di ordine pubblico”. Un problema che gli stessi governanti, con queste scelte normative, stanno creando. Ci interroghiamo sulla schizofrenia della legge che, se da una parte intende colpire il caporalato e le forme di sfruttamento verso i migranti, dall’altra li perseguita annientando i loro diritti e calpestando la loro dignità di esseri umani. La Regione Puglia vive in prima linea il dramma dell’accoglienza e da anni lavora per costruire speranza e integrazione, in una terra che conosce bene i drammi della migrazione e della discriminazione. Come psicologi spesso partecipiamo a progetti e dibattiti, anche nelle scuole, per promuovere l’integrazione e l’inclusione in diversi settori della vita civile. A questo tipo di mentalità cerchiamo di educare i giovani, anche in un’ottica di prevenzione di disagi e conflitti futuri. Ma il messaggio che arriva ai ragazzi attraverso le scelte politiche come quelle del “Decreto sicurezza” è palesemente in contrasto con gli obiettivi che tentiamo di perseguire. Un messaggio che esalta la negazione dei diritti dell’altro, il disconoscimento della sofferenza altrui, la distruzione del rispetto delle differenze, della solidarietà, della curiosità per altre culture. Ecco perché sosteniamo e incoraggiamo tutte le iniziative che vedono il nostro Ordine prendere pubblicamente posizione su questo tema drammatico, per trovare forme adeguate a mantenere integro il senso del nostro lavoro a favore di chi soffre! Vogliamo continuare a sentirci rappresentati in modo chiaro e forte da una istituzione che si fa portavoce della nostra ribellione civile verso chi semina odio nei confronti dei deboli, a chi aggiunge sofferenza a chi già soffre”. Moltissimi minori e neo-maggiorenni che avevano già avuto un permesso di soggiorno umanitario non potranno rinnovarlo, e - se ancora non avranno raggiunto i requisiti per la sua conversione in un permesso di lavoro (cosa difficilissima in questi tempi di crisi economica per tutti, ma anche di discriminazione nell’accesso a lavori stabili soprattutto per i giovani non italiani) - e se avranno superato i 18 anni anche solo di un giorno, saranno di fatto, anche in questo caso, dei nuovi irregolari. A fronte dell’assenza di accordi di rimpatrio con quasi tutti i loro Paesi di origine, questi ragazzi diventeranno giovani adulti marginalizzati, potenziali vittime di tratta e sfruttamento, individui soli che avranno invano, per anni, frequentato la scuola, fatto tirocini, costruito relazioni, contribuito allo sviluppo culturale, sociale e anche economico delle nostre città. In nome di tutto questo chiediamo con forza a chi ha il potere di farlo di intervenire nel percorso di conversione del decreto-legge immigrazione e sicurezza pubblica. Chiediamo di modificare in maniera sostanziale tutte le previsioni che rischiano di comportare l’irregolarità delle persone presenti sul territorio, anche se entrate come minori soli non accompagnati, e che quindi vanificherebbero il percorso, così fragile ma preziosissimo, che in Puglia, come in altre città d’Italia, è stato costruito con l’impegno di tante persone e che tanta ricchezza ha già donato alle nostre società. Questo decreto mette in atto delle procedure che vanno contro ogni diritto alla persona e noi abbiamo degli esempi della nostra quotidianità che lo dimostrano: da almeno una settimana ci sono molte persone lasciate sole poiché i Centri di Accoglienza Straordinaria in cui si recano le persone che hanno ottenuto la Protezione Umanitaria, che non è più contemplata dal DL sicurezza, saranno messe alla porta. Tutte queste persone vulnerabili, donne, bambini e ragazzi minorenni saranno lasciate a loro stesse senza alcuna tutela per la loro salute e per i loro diritti e saranno lasciate in strada: questa situazione non porterà assolutamente maggiore sicurezza, quindi non solo nuocerà ai diritti dei migranti, ma nuocerà anche a noi. Con il DL sicurezza verrà cancellato anche il permesso di soggiorno per motivi umanitari, che aveva durata di due anni e che consentiva il diritto al lavoro e alla salute: questo è inaccettabile! Verranno tolti una serie di diritti fondamentali e tutto questo non sarà una cosa positiva nemmeno per noi. Se verrà tolto il diritto alla salute, per fare un esempio, il migrante che ha una malattia contagiosa e non può essere curato, inevitabilmente potrebbe contagiare tutte le persone con le quali verrà a contatto. Le persone che giungono in Italia sono persone che soffrono, portatrici di disagi psicologici, sintomi post traumatici, che hanno perso dei familiari, spesso vittime di tortura, di cui portano i segni visibili e crediamo e ribadiamo a gran voce l’importanza della loro presa in carico. La Puglia è sempre stata vista come una Terra accogliente, ma di questi tempi notiamo che anche qui il vento sta cambiando e si respira un clima di odio, come un po’ in tutta Italia. Vogliamo unirci, come persone a come categoria professionale, per dire NO al DL sicurezza. Chiediamo quindi al Sindaco di respingere il Decreto sicurezza, come già fatto in molti Comuni italiani, e di dichiarare Ostuni città dell’accoglienza. Ci uniamo alle dichiarazioni del Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi, all’Ordine degli Psicologi della Regione Puglia cui chiediamo sostegno, a tutti i colleghi che in questi giorni hanno spontaneamente unito le loro riflessioni per giungere ad un programma di azione condiviso!
Gli psicologi di Puglia sono con i migranti.
Gli psicologi di Ostuni sono con i migranti.


Possiamo cambiare il nostro cervello? Con il dr. Luciano Peccarisi, neurologo e il dr. Franco Sponziello, psicologo

Organizzato dall’Uni3 presso la Biblioteca comunale di Ostuni il 25 gennaio e presentato dal presidente prof. Lorenzo Cirasino, si è tenuto l’incontro dal titolo “Possiamo cambiare il nostro cervello?”. Relatori, il dr. Luciano Peccarisi, neurologo e il sottoscritto in qualità di psicologo. Tema avvincente che ha destato l’interesse dei partecipanti. In sintesi, di seguito gli argomenti trattati. Occorre un notevole sforzo per cambiare. Infatti, capita spesso di osservare dei vecchi amici che non sono, come si suole dire, cambiati per niente. Riconosciamo subito quel tipo particolare di modo di fare, di ridere, scherzare, manifestare emozioni, anche se non sappiamo nulla delle idee e le informazioni nuove che nel frattempo hanno acquisito. Magari sono diventati giudici, medici o scrittori. Questo dipende dal fatto che il nostro cervello si è evoluto. Noi possiamo cambiare il nostro cervello, mentre l’animale non lo può fare perché mente e cervello, in essi, sono la stessa cosa. Uno è la macchina e l’altro l’esecutore che realizza i programmi già scritti e predeterminati. La mente possiede un certo margine di discrezionalità, perché l’esperienza della vita fa cambiare qualcosa alla rigida scaletta del copione da eseguire: nascere, sopravvivere, riprodursi e morire. Ma sono dettagli, eseguirli alla perfezione significa essere un buon pilota. Proprio con un buon pilota della Ferrari che deve guidare al meglio sfruttando tutte le caratteristiche migliori dell’auto. La nostra mente oltre a essere espressione del cervello biologico, è il frutto dell’educazione, esperienza, società e cultura che ci circonda. Molto più grande del cervello che la contiene, può agire su di esso sia in senso negativo che positivo. Non ci vergogniamo ad andare dall’ortopedico, piuttosto che dall’otorino o da altri specialisti, ma se si tratta nel nostro cervello, meglio ancora, della sua diretta produzione, la mente, ecco comparire una sorta di tabù: dobbiamo farcela da soli! In sé non è sbagliato e, spesso, le problematiche possono anche risolversi senza conseguenze: rapporti amorosi finiti, lievi incidenti, avversità lavorative, incomprensioni, fino al lutto, sono esperienze traumatiche ma ‘fisiologiche’. Se, invece, anche a partire da un lieve trauma, il periodo di difficoltà perdura nel tempo aggravandosi, allora è bene chiedere aiuto, poiché anche il cervello si sta modificando. Esso, infatti, è un organo come tutti gli altri, dunque può accadere che si ammali o sia in momentanea difficoltà e come gli altri, può modificarsi e cronicizzare un dato disturbo. La capacità del cervello di modificare la propria struttura in risposta all’esperienza prende il nome di neuroplasticità. Quando si dice che il comportamento e l’esperienza modificano il cervello si vuol proprio intendere che essi modificano il cervello fisicamente. Il cervello di un bambino cresciuto in Italia si costruisce con una struttura cerebrale diversa da quella di un bambino cresciuto in Finlandia. Questa è la ragione per cui il primo, da adulto, capirà l’italiano facilmente e il secondo no. In questo caso non si può esattamente dire quali siano le differenze strutturali, ma si sa che una parte del cervello è stata modificata da esperienze diverse.


Non ci sono più le quattro stagioni…
Ho vissuto la prima parte dei miei anni in un ambiente ancora incontaminato, quando c’erano le famose quattro stagioni . Erano riconoscibilissime, con variazioni relative e minime: la primavera era mite; la temperatura in estate, raramente superava i trenta gradi; a seguire, l’autunno riempiva di foglie gialle aiole e strade alberate, e infine l’inverno, mai tanto freddo, una settimana con la neve la regalava quasi sempre anche a Ostuni. Il mare era pulito e… va be’, ora rischio la melensaggine più retorica, ma è davvero difficile non paragonare i cambiamenti climatici repentini e disastrosi cui stiamo assistendo, con solo qualche decennio addietro.
Meteoropatia
È una sindrome che pare in aumentando proprio per l’intensificarsi dei cambiamenti climatici e comprende una serie di disturbi più o meno significativi, che si presentano in relazione, appunto, a particolari variazioni del tempo. I sintomi più comuni riguardano l’umore che può subire notevoli cali, fino alla depressione. Possono presentarsi anche ipotensione, astenia e desiderio di rimanere da soli in casa. Di frequente compaiono fastidi gastrointestinali, emicrania, difficoltà respiratorie (respiro corto), dolori muscolari e articolari. Infine, comuni sono senso di malessere diffuso, insonnia, irritabilità e instabilità dell’umore. La meteoropatia, nei vari stadi, colpisce per lo più persone sensibili, particolarmente emotive, con una bassa soglia di risposta allo stress, con salute cagionevole e/o con sistema immunitario non ancora strutturato o deficitario (bambini e anziani in particolare).
Le scelte
Di chi è la responsabilità? Sì, anche nostra e delle scelte che operiamo quando abbiamo l’opportunità di decidere chi dovrebbe tutelare l’ambiente. Comprendo, senza ovviamente giustificare, i meccanismi spesso maniacali che conducono alcuni leader politici a fomentare astio e paure immotivati: sono il mezzo più diretto ed efficace per abbassare il senso critico, quello che ci fa ponderare le cose che ci dicono: sono reali o “gonfiate” ad arte. Solo per esempio, l’ego smisurato di Trump nega i drammatici, quanto evidentissimi, cambiamenti climatici, per cui gli USA continueranno a inquinare alla grande. Una sorta di leader dei “NoClimate” (non so se esista già questo neologismo che si aggiunge ai vari NoVax, NoQui, NoQuo, NoQua…), che negano che il clima del pianeta sia ormai alla frutta, anzi, alla resa dei conti. Ultimamente si è unito a questa simpatica associazione di negazionisti (i NoClimate, appunto), anche Jair Bolsonaro, l’italo (ahimè) brasiliano da poco eletto presidente: il Trump brasiliano . Bolsonaro vuole la creazione di un’arteria stradale nella foresta Amazzonica (il polmone della Terra già ridotto all’osso) e altre trovate devastanti. Grande responsabilità è anche degli altri leader internazionali che non si oppongono concretamente al negazionismo. Ormai sono anziano e probabilmente avrò la sventura di assistere solo a una piccola parte del disastro ambientale, quello che ora si sta solo parzialmente annunciando. Ma le nuove generazioni, le mamme, i genitori che continuano per paura o per disinteresse a sottovalutare il problema, sostenendo oggettivamente i NoClimate, stanno compromettendo il proprio e l’altrui futuro, in una sorta di malato contagio del delirio negazionista. Gli scienziati avvertono che abbiamo solo altri dodici anni per fare qualcosa. Dopo, il processo sarà irreversibile. Iniziamo da questo 2019 informandoci, parlandone, preferendo i nostri rappresentanti istituzionali tra chi pone attenzione ai temi ambientali e non alla costruzione di muri e di odio.


Stereotipi e pseudo-verità
Ostuni non si presta molto all’utilizzo della bicicletta, troppe salite. A me piacerebbe pedalare, ma mi accontento di camminare a passo veloce quasi ogni giorno. In ogni caso, non mi è mai piaciuto dipendere dall’auto (per la cronaca possiedo una vecchia Stilo, la cui carrozzeria è ormai ridotta male). Eppure, ricordo le attenzioni che, comunque, all’inizio ponevo: la consideravo nuova per sempre. Invece no: il primo graffietto, la seconda ammaccatura, finché ci si fa l’abitudine, si accetta l’elaborazione che il tempo produce. Beh, in un certo senso è anche fisiologico abituarsi agli effetti del tempo che trascorre. Eppure, soprattutto negli ultimi decenni sembrerebbe proprio che non riusciamo ad accettare il normale intervento del tempo.
Il cervello ha i suoi tempi
Già prima della comparsa dell’Homo Sapiens, cui noi siamo i diretti discendenti, l’evoluzione ha adattato il cervello umano e il suo “prodotto” diretto, la mente, a ritmi ben precisi, un tutt’uno con i cicli della natura. Nel corso dei secoli, con il modificarsi delle abitudini di vita sempre più incalzanti (dovute anche all’evolversi dei commerci), le funzioni mentali si sono pian piano adattate ai nuovi ritmi. Questi cambiamenti, però, sono avvenuti nell’arco di centinaia di anni consentendo una graduale trasformazione delle capacità cognitive e strutturali del cervello. Negli ultimi decenni, invece, è come se avessimo vissuto diversi secoli in pochi anni: l’evoluzione dell’informatica e dell’informazione, per esempio, ci costringe ad accelerare oltre misura anche i nostri processi di pensiero. Ma attenzione, non siamo ancora pronti (se mai lo saremo…) ad affrontare la mole di sollecitazioni senza rischiare un blackout psico-fisico. Secondo il prof. David Meyer, direttore del dipartimento Cervello, Cognizione e Azione dell’Università del Michigan, la mente umana utilizza un numero relativamente limitato di canali che filtrano e analizzano le informazioni che giungono al cervello.
Un imbuto con il collo troppo stretto
Insomma, ci illudiamo di poter gestire i tanti stimoli, ma il risultato può condurre a un vero e proprio crollo che di solito non ha manifestazioni eclatanti, ma può produrre rigidità del pensiero e diffidenza verso le alternative vissute come ulteriore sovraccarico. Le nostre capacità critiche si attenuano, impegnati come siamo a gestire l’incessante bombardamento di pseudo-verità, fino ad arrenderci, diventando più vulnerabili e soggetti a manipolazioni. Rischiamo, dunque, di accettare come farina del nostro sacco, posizioni, stereotipi e convinzioni che giungono dall’esterno, poiché non abbiamo il tempo e gli strumenti per elaborare la complessità oggettiva dei vari input. Insomma, una falla nella quale passano concetti estranei che viviamo come prodotti da noi, ma che rappresentano una sorta di “invasione aliena” una “resa” alla esemplificazione; un po’ come quando un apparato elettrico, o la caldaia del riscaldamento, va in protezione: funziona, ma con ridotta capacità proprio per evitare danni maggiori. Chiediamoci se ciò che reputiamo vero e assoluto oggi, è frutto di un’elaborazione già presente negli anni, oppure è una novità relativamente recente: in quest’ultimo caso, cerchiamo alternative valide e di comprendere le varie sfumature. Accettare acriticamente, equivale all’illusione di fermare il tempo, non ammettendone il suo naturale trascorrere, il suo grande valore elaborativo e di crescita. Se questo “crollo” ci costringe a vivere solo l’ora e subito, va da sé che presente e futuro, saranno vissuti come ennesimo problema da (non) affrontare.


Forse qualcuno ricorderà i comizi elettorali: piazza della Libertà e slarghi più o meno ampi, erano comunque pieni di sostenitori e semplici curiosi. Passione politica? Sì, anche. Sicuramente più di adesso, epoca nella quale il disinteresse verso la ‘politica’ ha raggiunto vertici mai toccati, anche a causa del cattivo esempio di taluni suoi esponenti. Nell’era di Internet, dell’effimera convinzione di contare qualcosa se solo pubblichiamo una foto sui Social, va da sé che un minimo di riflessione sui temi proposti dalle varie formazioni partitiche, risulta un lavoraccio inutile da evitare… E questo, molti leader e candidati lo sanno benissimo!
Tizio o Caio?
Se chiedessimo a uno statunitense medio chi voterebbe tra due o più candidati, quasi sicuramente ci sentiremmo rispondere “il più alto” oppure “quello con la voce più bella” e cose simili. In effetti, alcune ricerche* hanno rilevato che la maggior parte dei presidenti USA sono più alti della media e che, tra due candidati in foto, è preferito chi ha la mascella volitiva, squadrata e/o lo sguardo ‘penetrante’. Un altro studioso, Casey Klofstad** fece ascoltare suadenti voci maschili e femminili elaborate ad hoc, che invitavano a votare per un certo candidato. Durante la simulazione di voto, le preferenze andarono proprio ai candidati cui appartenevano le voci manipolate in modo da essere accattivanti. Infine, Daniel Oppenheimer*** afferma che esistono tre ‘I’ che accomunano gli elettori: ignoranza, irrazionalità e incompetenza. Significa che quando ci accingiamo a votare, rispondiamo in modo assolutamente irresponsabile, quasi non riuscissimo a individuare ciò di cui abbiamo effettivamente bisogno e che può davvero fare il bene nostro e della comunità in cui viviamo. Al contrario, scegliamo il candidato che ci piace su basi superficiali, su concetti e preconcetti, spesso paradossali, se non manifestamente insulsi, sovversivi e anacronistici. Ebbene, molti adattano (barattano) le proprie convinzioni illudendosi, ancora una volta, di essere alla presenza di un nuovo ‘messia’ che, tutt’altro che magnanimo, erige muri e crea divisioni e odio. Pare proprio che la stimolazione di profonde, quanto improbabili paure, sia più efficace del ragionamento e della ponderatezza che richiederebbero, però, uno sforzo maggiore.
Messaggi vincenti
Anche noi italiani ci stiamo avvicinando a quei livelli, visto il successo di taluni personaggi politici, solo fino a pochi mesi prima, addirittura detestati ma che ora si professano i difensori da chissà poi quali specie aliene… Da alcuni anni il voto di “pancia”, sembra aver preso il sopravvento su qualsiasi riflessione valutativa. Ci appassionano le frasi forti, le decisioni irrevocabili, in una specie di regressione nostalgica a periodi davvero bui della nostra storia (anche la memoria pare anch’essa difettarci). Come mai tanta superficialità? In parte possiamo spiegarla proprio con il momento storico che viviamo e che esige estrema velocità proprio in tutto: veloci in casa, al lavoro, per strada. Poi in Internet con WhatsApp, Facebook, Instagram e così via, ambiti nei quali non si deve riflettere, basta esserci. Per altri versi, entra in gioco la necessità propria del nostro cervello, di ridurre al minimo la quantità di sforzo nel valutare, scegliere e decidere. Ecco comparire le euristiche, sorta di scorciatoie, di sintesi basate sull’istinto più che sul ragionamento, che ci aiutano a elaborare ogni giorno la grande quantità di informazioni che ci pervengono. Così, invece di ‘perdere’ tempo ad analizzare pro e contro, ci affidiamo a ciò che in quel momento ci sembra più idoneo. Attenzione, però: scorciatoie e preconcetti appartengono a un’unica, spesso stupida famiglia, che ci porta a distorcere la verità, inducendoci a cadere nei bias cognitivi, errori di valutazione di cui ci accorgiamo sempre in ritardo. Per esempio, il tono della voce può, infatti, farci pensare che il candidato abbia più testosterone, qualità che però non ne fa un bravo leader.
Il metodo “strascico”
La rete a strascico è utilizzata per catturare un’enorme quantità di pesce, spesso purtroppo a prescindere dalla qualità e dalla grandezza. Ha maglie più strette, proprio per non lasciare nessun pesce al… caso. È lo stesso metodo che utilizzano alcuni candidati per non rendere “insoddisfatto” nessuno. In ogni intervento si citano a profusione aggettivi, sostantivi, mestieri e professioni affinché ogni buon cittadino si possa sentire coinvolto, partecipe e non trascurato. Il trucco sta nel far credere che la necessità fosse già presente nel cittadino e che il candidato non faccia altro che recepirla, condividerla, portandola alla luce. Insomma, caccia alle streghe e nulla di veramente nuovo ed efficace, in grado di risolvere i reali problemi. Telepatia? Macché! Algoritmi: funzioni matematiche che sondano la sentiment analysis (parole e frasi più utilizzate), per tastare il polso della gente, ciò che dicono, che affermano, i vocaboli più usati e così via. Ecco dunque il nostro candidato parlare come se capisse alla perfezione i nostri bisogni, salvo avergli sentito dire l’esatto contrario non molto tempo addietro. Nell’epoca in cui “l’attimo di popolarità non si nega a nessuno”, sentirsi inclusi, citati e in qualche modo considerati, fa percepire come giuste anche le assurdità più palesemente false. Per molti italiani, il voto è quasi un optional, qualcosa che se anche si dà, nulla cambia. Eppure, se siamo a questo punto, è anche perché abbiamo ‘preferito’ di… pancia, venditori di fumo; siamo stati ammaliati da proposte di cui paghiamo ancora le conseguenze. Riflettiamo su alcuni punti fondamentali (diciamo una decina?), per esempio: ambiente, lavoro, pensioni, sanità, qualità della vita, e così via. Poi vagliamo attentamente ciò che propongono (NON come viene detto) i vari candidati. Infine, scegliamo chi si avvicina il più possibile a ciò che NOI abbiamo elaborato, le nostre reali convinzioni dovute anche a una seria informazioni e non ai “si dice”. Votiamo soprattutto con la NOSTRA testa e, se c’è, magari anche con la passione.
*Studio dello psicologo Alexander Todorov
**Professore Associato di Scienze Politiche presso l’Università di Miami
*** Professore di Psicologia presso l’Università della California, co-autore di ‘Democracy Despite Itself’


Cervello Trino

Guardando la Città Vecchia di Ostuni, mi sono ritrovato a ‘scomporre’ la sua architettura, apparentemente disordinata, ma straordinaria nel suo insieme. Immagino come poteva essere migliaia di anni addietro la collina intonsa su cui fu costruita. I primi insediamenti umani risalenti, pare, all’età della pietra. Le prime capanne all’apice del colle, a guardare il mare e a guardarsi da possibili attacchi esterni e poi, pian piano, costruzioni sempre più solide e funzionali con i primi approcci di collaborazione. Infine, immagino il progredire della città in parallelo con l’evoluzione culturale degli abitanti i cui rapporti sociali evolvevano lentamente alla cooperazione fattiva: siamo alla prima, vera e propria città, con i primi scambi commerciali, ma dedita sostanzialmente all’agricoltura, nelle campagne subito fuori le mura. Chiedo venia agli storici per questa trattazione semplicistica, ma il mio pensiero, con un’audace metafora, mi riporta alla struttura del nostro cervello definito dal neuroscienziato Paul MacLean*, Trino poiché costituito da tre parti evolutesi nei millenni.
I primordi
Così, i primi insediamenti caotici e primitivi contraddistinti da pura lotta per la sopravvivenza, corrispondono al cervello rettiliano (simile a quello dei rettili, appunto) la più antica struttura, sede degli istinti primari. Tra gli altri: sessualità, terrore, paura, rabbia, rassegnazione, aggressività, stato pessimistico e paranoide. Queste reazioni primordiali, ma presenti più o meno ‘discretamente’ in ognuno di noi, servono alla sopravvivenza: per esempio, se non proviamo paura siamo più esposti ai pericoli. Il cervello rettiliano, evolutosi a partire da 500 milioni di anni fa, contiene, dunque, istanze autodistruttive e distruttive, pulsioni violente e aggressive, ma è responsabile anche di fondamentali funzioni come respirazione, pressione arteriosa, cuore e altro.
Evoluzioni
Al rettiliano si associa circa 300 milioni di anni fa, un'altra struttura, il sistema limbico che consente all’uomo di affinare alcune funzioni per adattarsi meglio all’ambiente. Gli istinti, sempre presenti, sono mediati ora dalle emozioni e con esse la relazione con gli altri, il senso sociale e morale. Siamo ai primi approcci collaborativi della “visione” di Ostuni che, nei secoli successivi si sviluppa e progredisce così come al nostro cervello compare una terza struttura: il neocervello (corteccia cerebrale che compare circa 200 milioni di anni fa). Avvolge tutto il resto in una sorta di sintesi, soprattutto di filtro degli istinti e delle emozioni. La sede dell’intelletto, della parola e di tutte le più avanzate specificità che differenziano l’uomo dagli altri animali.
Equilibri a rischio
Questi livelli sono strettamente interconnessi e ciò che siamo è il risultato delle tre componenti. È materia neurologica e che ho solo sfiorato per indicare come davvero la nostra mente, i nostri pensieri e comportamenti, ma anche le nostre sofferenze psicologiche siano il risultato di equilibri dovuti a millenni di sviluppo ed evoluzione. Per svolgere il suo ruolo di mediatore-controllore, il neocervello ha bisogno assoluto di conoscenza: deve essere alimentato dalla curiosità e dall’apprendimento; in altre parole, più leggiamo, studiamo, ci appassioniamo, scopriamo, approfondiamo la nostra cultura, tanto più il nostro cervello sarà in grado di funzionare al meglio.
Quando, invece, e come credo stia accadendo negli ultimi decenni, alla cultura, alla condivisione, alla curiosità si sostituiscono pseudo valori quali aggressività, violenza, egoismo e intolleranza, ebbene è come se si cancellassero migliaia di anni di evoluzione, come se funzionasse solo il cervello rettiliano con i suoi effetti ottusi e pericolosi, se non controllati.
Mi piace immaginare le antiche mura che hanno accolto, nel bene e nel male i propri abitanti, continuare a farlo in armonia, fiducia, empatia e tolleranza, poiché il nostro cervello, sebbene trino, rimane unico.
* “Evoluzione del cervello e comportamento umano” (Einaudi)


Estate e mare: un binomio inscindibile soprattutto per noi pugliesi. La marina ostunese si popola di bagnanti, molti dei quali preoccupati della propria forma fisica. Si può, dunque, assistere a vani sforzi per tenere dentro una pancetta tracimante, ma anche allo sfoggio impertinente di fisici statuari. Con un pizzico di malcelata invidia, spesso si classifica narcisista il possessore di un corpo che viene ‘esibito’. O forse, semplicemente, al mare è così. L’etichetta di narcisismo ha una valenza negativa e, nell’uso comune, contrassegna chi si ‘mette in mostra’, chi crede di essere così ‘bello e/o perfetto’ che, senza ritegno, sembra interessarsi solo a se stesso. Il narcisismo diventa sinonimo di egocentrismo.
Il narcisismo
prende il nome dal mito di Narciso, un giovane tanto bello da far innamorare tutti, uomini e donne. Era, però, anche crudele, altezzoso e insensibile. Fu punito dalle divinità e condannato a innamorarsi della propria immagine rispecchiata in una pozza d’acqua. A parte il mito, non esiste solo un tipo di narcisismo, quello cioè più noto come disturbo narcisistico della personalità, definito anche narcisismo maligno*. Esistono, in realtà, varie sfumature fino ad arrivare, come vedremo, al narcisismo sano.
Una giusta dose di narcisismo è indispensabile allo sviluppo armonico della nostra personalità: significa che abbiamo ricevuto le giuste e ponderate attenzioni a iniziare dai nostri genitori, se ci insegnano a prenderci cura di noi stessi senza ‘abusare’ in eccessi di compiacimento o rimprovero immotivati, se non, addirittura, di vessazioni psico-fisiche. Di conseguenza, riusciremo a vivere con gli altri, sentimenti solidi con poco spazio lasciato alla prevaricazione.
Narcisismo “sano”
Sono narcisisti sani alcuni individui che hanno raggiunto un certo successo artistico, politico, economico, ecc. Persone, cioè, che utilizzano il bisogno di elogi, complimenti e conferme positive, in modo empatico e costruttivo, senza avere la necessità di sopraffare gli altri, bensì sfruttando la propria carica carismatica e la dovuta competenza. Hanno avuto un passato travagliato che sono riusciti a gestire attraverso psicoterapia oppure, casualmente, con la vicinanza di un insegnante o un gruppo particolarmente positivo di persone.
Il futuro narcisista ha subito nella prima infanzia comportamenti aggressivi da parte dei genitori, in particolare del padre. Se non superati, è molto probabile che questi traumi siano causa una grave forma di
narcisismo “maligno”
Le continue vessazioni subite da un genitore eccessivamente punitivo e con tendenze sadiche (padre padrone), può condurre all’identificazione con la sua figura, creando una distorsione della personalità che illude di essere ‘superiori’ e inattaccabili. La vita è una giungla! Gli altri sono percepiti o troppo cattivi o troppo buoni. Nel primo caso si dovranno combattere o temere, e fuggire. Nel secondo, saranno individui da sottomettere poiché deboli e/o indegni (così come si era stati trattati dal proprio padre).
Secondo il DSM V**, chi è affetto da disturbo narcisistico della personalità:
1. ha un senso grandioso di importanza (per es., esagera risultati e talenti, si aspetta di essere considerato superiore senza un'adeguata motivazione).
2. È assorbito da fantasie di successo, potere, fascino, bellezza illimitati, o di amore ideale.
3. Crede di essere "speciale" e unico e di poter essere capito solo da - o di dover frequentare - altre persone (o istituzioni) speciali o di classe sociale elevata.
4. Richiede eccessiva ammirazione.
5. Ha un senso di diritto (cioè l'irragionevole aspettativa di speciali trattamenti di favore o di soddisfazione immediata delle proprie aspettative).
6. Sfrutta i rapporti interpersonali (cioè approfitta delle altre persone per i propri scopi).
7. Manca di empatia: è incapace di riconoscere o di identificarsi con i sentimenti e le necessità degli altri.
8. È spesso invidioso degli altri o crede che gli altri lo invidino.
9. Mostra comportamenti o atteggiamenti arroganti, presuntuosi.

(I narcisisti) Credono di essere superiori, speciali o unici, e si aspettano che gli altri li riconoscano come tali. Possono pensare di sentirsi capiti solo da persone speciali o di classe sociale elevata e di doverle frequentare, e possono attribuire qualità di “unico", “perfetto” o “dotato di talento" a coloro che frequentano. Gli individui con questo disturbo credono che le loro necessità siano speciali e al di fuori della comprensione delle persone comuni. La loro autostima viene aumentata (cioè “rispecchiata”) dal valore idealizzato che attribuiscono a coloro che frequentano.
Come accennato, l’intervento di uno specialista può essere decisivo nella terapia del narcisismo dal quale, così, si può guarire. Attenzione, però, a non confondere atteggiamenti e comportamenti che possono ricordare il narcisismo, ma che con il tempo si risolvono senza problemi. È il caso di molti adolescenti che per l’instabilità propria dell’età, spesso appaiono eccessivamente pieni di sé, scostanti, arroganti e presuntuosi. (Considerazione personale: per alcuni nostri politici, ahimè, la vedo davvero molto dura guarire…).
* Termine coniato dallo psichiatra Otto Friedmann Kernberg
** La “Bibbia” della psichiatria internazionale


Frequentavo la terza media presso la scuola San Carlo Borromeo qui a Ostuni e ricordo che mi piaceva una coetanea di un’altra classe (all’epoca non esisteva la promiscuità). Per attirare la sua attenzione cercavo di fare tutto quello che un bambino pensa possa essere attraente: correre più veloce degli altri, essere più forte, insomma, più in mostra… Eppure lei sembrava non vedermi nemmeno. Così, dopo un po’ iniziai a pensare che non fosse lei ‘degna’ delle mie premure. Mi ricordai di quell’episodio in seguito, collegandolo alla famosa favola di Esopo La volpe e l’uva: l’animale, non riuscendo a raggiungere i grappoli, se ne va dicendo “Quest’uva è troppo acerba! ”. La morale è semplice: spesso se non riusciamo a ottenere o comprende qualcosa, la disprezziamo. Questo è uno degli esempi più utilizzati per definire la
Dissonanza Cognitiva
La nostra mente non sopporta le contraddizioni e fa di tutto per appianarle. Le circostanze che affrontiamo devono essere il più possibile armoniche: in questo caso si parla di Consonanza Cognitiva. Quando, invece, due o più pensieri, azioni o situazioni sono in contrasto tra di loro, si genera tensione e disagio (in alcuni casi veri e propri disturbi psicologici). La nostra mente cerca la via più ‘indolore’, che spesso non è la più saggia, per attenuare la tensione generata dalla Dissonanza Cognitiva (D.c.) , teoria messa a punto dallo psicologo Leon Festinger. Per esempio.: “sono sovrappeso e/o con colesterolo alto, dunque a rischio, ma continuo a mangiare tanto e male” e “mi piace fumare, ma il fumo provoca il cancro”. Situazioni che al loro inizio o quando si è giovani, spesso non preoccupano, ma che poi possono generare tensione e che affrontiamo all’incirca così: 1) smettiamo di alimentarci male/di fumare; 2) minimizziamo i rischi dicendoci che “si vive una sola volta ed è meglio non privarsi dei cibi preferiti/dell’unico vizio che ho (il fumo)”; 3) cerchiamo, magari con l’ausilio di Google, pareri di sedicenti esperti secondo cui sovrappeso o fumo non provocano problemi. Nel primo caso modificheremo il comportamento e la tensione diminuirà a mano a mano che l’esperienza positiva del dimagrimento o dei benefici del non fumare, diventerà constatabile. Gli altri due punti, sovrapponibili, allentano la tensione nella convinzione che non potrà succederci nulla di grave. Sosterremo, dunque, senza critica/autocritica, la tesi che abbiamo scelto, sulla base del si dice e del parere di esperti alternativi, respingendo tesi contrarie e rafforzando la nostra, secondo lo schema del Ragionamento motivato, che consiste, appunto, nel rimanere convinti della giustezza di quello in cui vogliamo credere, contro ogni possibile evidenza: le motivazioni sono spesso inconsistenti e vacue, ma ritenute sacrosante e inconfutabili. Anzi, qualsiasi critica le rinsalda.
Gli Ufo ci salveranno!
Leon Festinger e alcuni suoi colleghi, si infiltrarono in una setta di Minneapolis (Usa) denominata I Cercatori la cui ‘santona’ era Dorothy Martin una casalinga di Chicago. Un’inondazione pari al diluvio universale, avrebbe colpito la Terra e solo lei e gli adepti della setta, si sarebbero salvati grazie a extraterrestri, i Guardiani, giunti in loro soccorso con tanto di dischi volanti. I membri della setta, persone assolutamente nella norma, avevano lasciato casa e lavoro e venduto tutti i loro averi, convinti com’erano che la profezia si sarebbe verificata il 21 dicembre del 1954. Inutile dire che non vi fu alcuna alluvione e nessun disco volante fu avvistato all’orizzonte, ma la data veniva sempre spostata di giorno in giorno. La santona giustificava il rinvio del disastro sostendo che le forze del bene stavano vincendo anche grazie all’opera di persuasione dei membri della setta. Festinger e colleghi, poterono assistere all’intensificarsi della fiducia dei discepoli che, invece di mandare a quel paese la santona, rafforzarono le loro convinzioni reclutando addirittura nuovi adepti, a cercare conferme nella quantità a discapito dell’autocritica e dell’approfondimento. In pratica, era pressoché impossibile rinunciare a una credenza ormai consolidata, poiché avrebbe prodotto una tensione ancora più conflittuale. È il meccanismo che ci fa, per esempio, ‘abboccare’ alle fake news, notizie false spesso confezionate ad hoc o che ci rende convinti assertori di idee e comportamenti, contro ogni logica. La D.c. è ampiamente utilizzata da chi si occupa di vendere un qualsiasi prodotto, pubblicitari e da molti politici che ne sfruttano, più o meno scientemente, i meccanismi: si suggeriscono scenari che sollecitano paura o minano la stima di sé (per esempio, pubblicità in cui la casa è piena di insidie, insetti, batteri, sporcizia varia o presunti nemici umani ‘infestanti’ di cui sbarazzarsi al pari dei microbi…). Poi, viene offerta una - falsa - soluzione per risolvere il problema. A quel punto, per placare la tensione volutamente provocata, accettiamo acriticamente come unica e valida la soluzione che ci viene proposta e che poi sosterremo testardamente, senza ‘vedere’ la - a volte - inevitabile deumanizzazione.
P.s.: incontrai la ragazzina delle medie dopo una ventina d’anni. Mi disse che se non fossi stato così ‘appariscente’ nei comportamenti, le sarei stato più simpatico…


Negli ultimi tempi e, aggiungerei, in un’escalation davvero molto rapida e per ciò stesso difficile da analizzare e spiegare, abbiamo assistito a un processo di deumanizzazione e di pericolosa regressione a stadi che poco hanno a che fare con la civiltà. La percezione indotta da una retorica ossessiva e martellante, ha portato tanta gente nel mondo a credere a ipotetici nemici, risvegliando razzismo e becero protezionismo dal ‘diverso’. È anche per contrastare questa pericolosissima tendenza che si pone la terza edizione del Festival della Cooperazione Internazionale.
Persone, comunità, sviluppo inclusivo
È il tema del Festival e sembrerebbe quanto mai distante dall’ondata di rifiuto del diverso e di etnie considerate ‘minori’. Chiedo, dunque, delucidazioni al coordinatore del Festival, l’infaticabile dott. Franco Colizzi, lo psichiatra nostro concittadino che si è da sempre contraddistinto per il suo impegno civile:
Ogni essere umano, dice il dott. Colizzi, ha diritto a perseguire una vita compiuta, costruendo un’adeguata stima di sé che gli consente di operare con e per gli altri. Questo movimento del sé verso l’altro, questa sollecitudine che risponde alla chiamata del sé da parte di un altro è la seconda dimensione della persona. Quando l’altro non ha un volto ed è raggiungibile solo attraverso i canali delle istituzioni, compare la necessità della terza dimensione: il vivere all’interno di istituzioni giuste, capaci di distribuire non solo beni e merci, ma anche diritti e doveri.
La persona è un patrimonio comune
Lo statuto di persona viene sempre riconosciuto ad ogni essere umano? Non abbiamo, invece, davanti ai nostri occhi lo spettacolo continuo, in tutte le parti del mondo, di esseri umani ridotti ad oggetto, discriminati nella loro dignità o totalmente esclusi dalla partecipazione alla vita comune? Ai successi - ancora incompleti - delle grandi lotte per il riconoscimento dei cittadini, delle donne, dei lavoratori, delle persone di diverso colore della pelle, delle persone di diverso orientamento sessuale, in questo secolo ha fatto seguito la ‘Convenzione sui diritti delle persone con disabilità’. Essa ci parla di persone titolari di diritti universali al cui compimento devono necessariamente concorrere le comunità, attraverso uno sviluppo che include, che non lascia nessuno fuori, né indietro. In questo impegno la cooperazione internazionale emerge splendidamente (come nei progetti in Guinea Bissau, Mozambico, Brasile, Palestina, raccontati nel corso del Festival), mirando ad un autosviluppo nelle comunità locali, il cui primo obiettivo è l’inclusione di ogni persona, il contrasto a meccanismi dominanti che producono vite ineguali o di scarto, meccanismi che vediamo all'opera in maniera violenta quando rivolgiamo l'attenzione alle vite dei nomadi forzati (come abbiamo fatto con il corso di formazione sulla salute dei migranti). Pensare all’essere umano solo come individuo può esasperare l'egoismo, la ricerca del dominio, la gerarchizzazione delle differenze biologiche, culturali e sociali.
Problemi comuni
Se la disabilità insegna che siamo tutti vulnerabili, le migrazioni insegnano che siamo tutti in movimento tra luoghi vicini o lontani, per le motivazioni più diverse. Nelle realtà universali della disabilità e del nomadismo, in maniere spesso drammatiche, riluce il percorso straordinario di ogni essere umano alla ricerca di una vita compiuta, qualunque siano le condizioni biologiche o biografiche di partenza. E così, agire responsabilmente in cooperazione internazionale significa prendersi il tempo per conoscere, sentirsi parte di un comune destino, contribuire a un nuovo umanesimo, oltre la logica dell’emergenza e la retorica dell’aiuto. Nessuno è solo povero e i poveri non sono una minaccia, ma un appello a essere compagni, a mangiare assieme, nella giustizia, il pane del mondo. E' dunque tempo di ridare vigore all'etica pubblica contenuta nell'articolo 1 della “Dichiarazione universale dei diritti umani”, operando gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza, perché ogni persona nel mondo veda riconosciuti la dignità e i diritti.
Lo svolgimento del Festival
Il concetto profondo di persona riassume il senso altrettanto profondo della cooperazione internazionale e i giorni del Festival sono una festa della persona, una piccola esperienza dell’unità della speranza umana che anela alla liberazione dal male. Fa bene, invece, guardare in faccia gli abitanti del pianeta, le donne con disabilità, gli operatori di pace, anche attraverso mostre fotografiche (Salvatore Valente con Persone del mondo, un mondo di persone, le donne palestinesi con disabilità con I am a woman) e prodotti audiovisivi (Testimoni di pace del Centro Sereno Regis). Il Festival, voluto da Rids - Rete Italiana Disabilità e Sviluppo (Aifo-Dpi- Fish-Educaid), si tiene dal 7 al 13 ottobre ed è diffuso tra Bari, Bitonto, Brindisi, Ceglie Messapica, Cisternino, Francavilla Fontana, Gioia del Colle, Latiano, Lecce, Ostuni, Putignano, Taranto.
Calendario del Festival
Gli appuntamenti previsti sono davvero tanti e molto vari: www.festivaldellacooperazioneinternazionale.it


La prima impressione è quella che conta!
Sarà capitato un po’ a tutti di attendere, trepidanti, una persona per un appuntamento importante: sembra di riconoscere in tanti altri passanti, la fisionomia di chi aspettiamo. È un bias cognitivo, vale a dire una deviazione, una distorsione della realtà che denota la propensione a creare una propria ‘verità’ soggettiva, che poco o nulla ha a che vedere con la realtà oggettiva. In altre parole, la nostra mente crea certezze avvalendosi di pochi, scarsi elementi, spesso illudendoci di essere nel giusto quando esprimiamo giudizi e valutazioni. È tanto importante il ruolo dei bias, da influenzare la politica, la finanza e così via, a livello planetario. Lo dimostrò lo psicologo Daniel Kahneman, che per i suoi studi vinse il Nobel nel 2002 (ebbene sì) per l’economia.
L’effetto alone
La prima impressione è quella che conta! Chissà quante volte abbiamo sentito e detto questa frase, tranne poi essere smentiti dall’approfondimento della conoscenza con la persona in questione. È un esempio di comunissimo bias che crea l’illusione di un quadro generale e completo, a partire da pochi elementi. Accade frequentemente che reputiamo anche intelligente, forte, capace, sensibile e così via, una persona bella, senza aver approfondito la conoscenza, ma basandoci, per esempio, solo da alcuni tratti fisionomici. Ovviamente vale anche il contrario per individui che consideriamo negativi, solo perché brutti o, peggio ancora, neri o di una specie inferiore. Il nostro giudizio è distorto da pochi dati che generalizziamo, adattandoli al nostro vissuto, alle mode e alla cultura del momento, all’educazione ricevuta e così via. Rimarremo fermi sulle nostre convinzioni, contro ogni logica. Vale, ovviamente, anche il procedimento inverso: da alcuni atteggiamenti e comportamenti, traiamo conclusioni sull’aspetto fisico del soggetto. Si tratta dell’effetto alone illustrato in un noto esperimento, dagli psicologi Richard E. Nisbett e Thomas D. Wilson*.
L’esperimento
Centodiciotto studenti dell’Università del Michigan furono divisi in due gruppi ai quali vennero mostrati due differenti video: nel primo un insegnante si dimostrava autoritario, troppo rigido e arrogante. Il secondo gruppo visionò lo stesso insegnante che, però, si comportava cordialmente, sorridendo affabile e disponibile. Insomma, due filmati in cui lo stesso soggetto aveva comportamenti diametralmente opposti. Agli studenti venne chiesto un giudizio sull’aspetto fisico dell’insegnante: il gruppo che lo aveva visto autoritario e severo, lo descrisse come brutto e fisicamente sgradevole. L’altro gruppo, invece, lo indicò come bello e attraente, il tutto in linea con le caratteristiche, ora negative, poi positive. Fu loro, inoltre, chiesto se pensassero di essere stati influenzati dal comportamento dell’insegnante: risposero tutti con un ‘no’ deciso, ribadendo l’obiettività dei giudizi espressi. L’esperimento conferma quanto sia ‘fragile’ il nostro metro di giudizio. Se è vero che questo tipo di distorsioni sono una costante comune a tutti, è altresì importante sforzarsi di correggerle, soffermandosi a vagliare bene altre variabili della situazione o della persona che stiamo ‘valutando’. È una questione di metodo e di allenamento che, senza dubbio, migliorerà le nostre capacità cognitive e umane. Chiediamoci se ne sappiamo abbastanza, se abbiamo dati sufficienti, se esistono alternative a ciò che d’acchito crediamo. Approfondiamo e, magari, ci accorgeremo che la prima impressione, in fin dei conti, non conta poi tanto.
* Nisbett, R. E., & Wilson, T. D. (1977). Telling more than we can know: Verbal reports on mental processes. Psychological Review


Il mal di Natale
La città vecchia di Ostuni mi ha sempre suggerito l’immagine del presepe. Lo scenario ideale che, con gli addobbi, i filari di luci, il profumo di arance e mandarini, da piccolo erano gli inequivocabili indizi dell’arrivo del Natale. E poi il presepe vero e proprio, una composizione che iniziava con la scatola di cartone dalla quale mia madre prelevava le statuine che mano a mano formavano la magica architettura, cui si aggiungevano sempre nuovi elementi col passare del tempo. La tradizione vuole che il primo presepe sia stato realizzato da san Francesco nel 1223 a Greccio, in provincia di Rieti, e la cui rappresentazione pittorica si deve a Giotto (1295 – 1299). Quel primo presepe era semplice ed essenziale. Nel tempo sono stati aggiunti simboli e situazioni che, soprattutto al Sud, rendono il presepe ricco di significati che vanno spesso anche oltre l’evento sacro. “Adesso sono andato a comprare i Re Magi, perché quando ho aperto la scatola dove conservo i pastori, e se no a Natale è troppa 'a spesa, ne ho trovato uno con la testa rotta... Li ho cambiati tutti e tre, se no pareva brutto, uno nuovo e due vecchi! Questi li ho scelti in mezzo a centinaia di pastori. Faceva un freddo! Ma io mi sono scelti i più belli! Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, che portavano i regali al Bambino Gesù. Guardate le faccine…”.
dice Luca, il protagonista della nota commedia di Eduardo Natale in casa Cupiello, in cui, però, il presepe è solo un pretesto poiché i personaggi esprimono, tra il serio e il faceto, rancori sopiti e dissapori vari. Eduardo De Filippo, ha magistralmente evidenziato la contrapposizione tra ‘miserie’ umane e il simbolo che rappresenta il momento più alto della cristianità: il presepe, appunto. Quello napoletano, in particolare, è stato adottato un po’ in tutto il Meridione ed è stato corredato nel tempo, di vari personaggi, anche anacronistici in quanto a costumi e attività ma ricchi si simbologie: il pastorello (attesa del Natale); il cacciatore (la morte); il pescatore (la vita). E via dicendo, fino ai vari bottegai e mercanti che simboleggiano i dodici mesi dell’anno, con i rispettivi venditori di: gennaio, macellaio o salumiere; febbraio, ricotta e di formaggio; marzo, polli e uccelli; aprile, uova; maggio: sposi con cesto di ciliegie; giugno, panettiere; luglio, pomodori; agosto, angurie; settembre, fichi o seminatore; ottobre, vinaio o cacciatore; novembre, castagne; dicembre, pescivendolo o pescatore. Al centro di questi ‘dettagli’, c’è la grotta o la capanna che rappresenta il rifugio, il porto sicuro dopo il pericolo della tempesta, del rifiuto sui quali trionfa comunque la vita. È la metafora che più di altre ci coinvolge, al di là del proprio orientamento religioso: un nuovo principio che simboleggia la speranza di un cambiamento positivo nel prossimo futuro.
Eppure esiste una percentuale non trascurabile di persone che, proprio durante le festività natalizie, si sentono tristi, sole, depresse. Conosciuta anche come Christmas blues, questa situazione di disagio, frequente in soggetti con quadri clinici depressivi, può essere reattiva, vale a dire transitoria poiché dovuta a vicende più o meno recenti: separazioni, malattie, perdita del lavoro, trasferimenti, abbandoni, lutti. Il ricordo dell’analogo periodo trascorso, però, in situazioni di normalità produce uno stridente contrasto con l’attuale situazione di disagio. L’incontro con parenti e conoscenti, le occasioni di ‘forzata’ socializzazione, l’allegria che sembra prendere tutti gli altri, acuiscono il senso di malessere e di solitudine. Per altri ancora le festività natalizie costituiscono una sorta di banco di prova, un investimento sul futuro, la promessa di un cambiamento che, puntualmente, è disatteso con l’arrivo di gennaio, facendo ripiombare l’individuo in uno stato di profonda prostrazione fino al tentativo di gesti estremi, molto frequenti, appunto, all’inizio del nuovo anno. Quest’ultima variante prende il nome di sindrome da promessa infranta*, a sottolineare l’eccessivo investimento emotivo.
Se conosciamo amici e parenti che vivono questo disagio, non costringiamoli a essere felici a tutti i costi, ma invitiamoli a parlarne: anche solo ascoltare può essere loro di grande aiuto.
Sereno Natale a tutti!
* European Journal of Public Health: Nothing like Christmas - suicides during Christmas and other holidays.

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