"…una faccia tosta e trista, uno che si chiama Franti, che fu già espulso da un'altra Sezione" scrive Edmondo De Amicis nel libro Cuore (1886). Come me, credo che altri non più giovanissimi ricordino quelle pagine che avevano emozionato quell'età priva di sollecitazioni informatiche. Tra tutti i personaggi 'positivi', Franti si differenziava nettamente: era antipatico, temibile, prepotente e minaccioso. Il bullo di turno, insomma. Questa 'figura' è sempre esistita, e lo specifico termine bullo, lo ritroviamo per la prima volta in La piazza universale di tutte le professioni del mondo, uno scritto di Tommaso Garzoni risalente al Rinascimento (1585). La scolarizzazione obbligatoria, le maggiori opportunità di socializzare, di comunicare e stare insieme, hanno facilitato anche la possibilità di imbattersi in situazioni a volte davvero drammatiche. Purtroppo il fenomeno del bullismo va ben oltre le mura scolastiche, diramandosi nella Rete (cyberbullismo) complicando, così, la soluzione. Questo mio intervento, si limita ad alcuni aspetti generali che riguardano la scuola in cui, oltre le forme più frequenti di prepotenze fisiche (botte, spintoni, ecc.) e verbali (offese, provocazioni e prese in giro), il bullismo può essere anche psicologico, con continue vessazioni verbali, maldicenze e pettegolezzi che tendono all'esclusione della vittima).
Il bullo
Il Lucignolo di turno è di solito un ragazzo (meno frequente, una ragazza), che compie atti di prepotenza nei riguardi di un altro ragazzo 'credendosi' superiore a esso. Le prepotenze non si limitano a un singolo episodio, ma diventano una vera e propria persecuzione continuata nel tempo. Il bullo sceglie i soggetti più deboli che domina con atteggiamenti aggressivi e prepotenti. Di solito altri ragazzi, i gregari, sostengono il bullo anche non partecipando in prima persona alle sue azioni assicurandosi, così, una sorta di immunità dall'essere a loro volta vittime, ma a anche per 'godersi la scena'. Questo meccanismo facilita ancora di più l'isolamento in cui, spesso, viene relegato chi è preso di mira. Il bullo rimanda, in un certo senso, al predatore che in natura individua il soggetto meno forte e procede all'attacco, in una sorta di selezione naturale malata, le cui regole non sono dettate dalla lotta per la sopravvivenza, ma da comportamenti in qualche modo 'legittimati' dai modelli offerti dall'attuale società.
La vittima
Maschio o femmina, di solito è sensibile, timorosa e riservata. Tende a non rispondere alle provocazioni e ai continui soprusi, che abbassano ulteriormente la già scarsa autostima e l'immagine negativa che ha di sé, aumentando l'ansia e il senso d'insicurezza. È un compagno di classe o di giochi, spesso fisicamente e caratterialmente più indifeso Il 'branco' si forma, come detto, per compiacere il bullo e crea a sua volta l'isolamento della vittima designata. Ciò facilita la condizione di solitudine e abbandono che si vive a scuola, in un circolo vizioso nel quale la passività alimenta l'aggressività che, a sua volta, rende ancora più solo il ragazzo. Lo studente-vittima, pur sforzandosi, non ottiene risultati nelle attività sportive; gli ulteriori tentativi di apparire 'degno', falliscono anche perché sotto 'osservazione' del branco e del bullo. Quest'ultimo troverà conferme positive dall'atteggiamento consenziente del branco, intensificando le angherie.
Manifestazioni
Tra le manifestazioni del bullismo, le più comuni sono:
- espressioni offensive nei confronti di nazionalità, religione, disabilità, identità sessuale della vittima;
- esclusione intenzionale e frequente da parte dei coetanei dalle attività di gruppo con relativo isolamento sociale, anche intenzionale, da parte degli amici;
- utilizzo di espressioni abusive o insulti, prese in giro;
- minacce e ricatti;
- furto o danneggiamento di oggetti personali della vittima;
- molestie sessuali;
- diffusione di voci maliziose e false.
Solitamente la vittima di bullismo difficilmente parla con gli adulti, dunque bisogna stare attenti alla comunicazione non verbale (reazioni e comportamenti), che può rivelare il grave momento che sta vivendo:
- disinteresse o rifiuto di andare a scuola, senza motivazioni valide;
- calo nel rendimento scolastico;
- modifiche nel proprio stile di vita al di fuori della scuola. In particolare la tendenza a isolarsi e il rifugiarsi più del solito nel 'virtuale' (videogiochi, smartphone, computer);
- spesso il ragazzo è costretto a versare 'tangenti' al bullo, dunque porre attenzione a richieste di denaro e sparizione anche di piccole somme;
- anche l'abbigliamento può essere oggetto di ricatto: vestiario che manca o è troppo sgualcito, lacerato, specie se il ragazzo di solito è ordinato e ci tiene;
- smarrimenti o danneggiamenti di materiale scolastico o di altra natura.
Non è bullismo quando...
Naturalmente non tutte le manifestazioni di ostilità tra ragazzi sono da riportare al bullismo. Ciò che differenzia il bullismo è lo squilibrio di potere per cui i casi in cui due o più coetanei, dotati di forza simile o uguale, abbiano comportamenti reciprocamente aggressivi, senza che uno prevarichi sull'altro non costituiscono episodi di bullismo.
I sintomi
I sintomi del soggetto vittima di bullismo si possono manifestare a breve o a lungo termine, secondo la gravità dei soprusi subiti, della durata nel tempo, della psicologia del ragazzo e di molte altre variabili.
Breve termine:
- soprattutto la mattina prima di andare a scuola, mal di pancia, di stomaco, di testa;
- disturbi del sonno, incubi, enuresi (pipì a letto), attacchi d'ansia;
- calo del rendimento scolastico con difficoltà di concentrazione e di apprendimento;
- valutazione negativa della propria identità, bassa autostima.
Lungo termine:
- ansia, insicurezza, difficoltà di adattamento;
- tendenza alla depressione, comportamenti autolesionisti e autodistruttivi;
- tendenza a isolarsi, solitudine, grandi difficoltà nelle relazioni sociali;
- a volte abbandono scolastico.
Per alcuni studiosi, bullo e vittima sono le facce della stessa medaglia. Entrambi hanno paura: il bullo cerca di vincerla con atteggiamenti sicuramente da biasimare, quando non da bloccare con drastica decisione; dal canto suo, la vittima convalida la propria paura, consolidando e aggravando, così, i sentimenti di inferiorità che già viveva.
Ma l'idea del bullo che reagisce alle proprie debolezze e paure, pare non confermata da alcune ricerche da cui si rileva che, al contrario, il prepotente ha, almeno apparentemente, bassi livelli di ansia e insicurezza. Entrambi, comunque, hanno un'immaturità di base nel riconoscere le emozioni, in particolare quelle positive come la felicità. I segnali emotivi che provengono dall'esterno, sono falsati, fraintesi, interpretati come legittimazione, positiva o negativa, dei rispettivi comportamenti.
Essere a lungo vittima o bullo, può portare a conseguenze davvero rischiose. Dan Olweus, forse il più grande studioso del bullismo, ci dice che chi rimane a lungo nel ruolo di prepotente corre più rischi di entrare nell'escalation di violenza che va dai piccoli episodi di vandalismo, furti, piccola criminalità, fino a problemi più seri con la legge. Gli studi di Olweus hanno rilevato la scarsa attenzione nei riguardi di questa problematica da parte degli adulti che, spesso, sottovalutano gli episodi, riducendoli a 'ragazzate', scherzi e giochi nei quali è giusto non intromettersi. A complicare ancora di più la comprensione del problema, concorrono le condizioni stesse in cui si svolgono gli atti di bullismo, di solito nascosti agli insegnanti e ai genitori; le difficoltà a denunciare da parte delle vittime, poiché si aspettano totale indifferenza nei loro confronti al contrario dei bulli, convinti di meritare approvazioni e rinforzi. La scarsa fiducia negli adulti porta, così, il 50% delle vittime a non parlare dell'accaduto agli insegnanti e ai genitori. La percentuale aumenta, soprattutto tra i maschi, con il passaggio alle scuole medie. I ragazzi spesso ritengono che denunciare i fatti all'adulto sia un'azione negativa, peggiore rispetto alla stessa prevaricazione subita e passibile di ulteriore isolamento da parte degli altri.
Cosa fare?
A questa domanda è molto difficile rispondere poiché le variabili sono davvero molte.
Personalmente credo che nessun bambino, a meno che non abbia specifiche patologie, nasca 'bullo'. Le responsabilità, dunque, sono da ricercarsi inizialmente nella famiglia. Vorrei aprire una parentesi a riguardo: per 'responsabilità' non intendo coscienza di 'far male', bensì una serie di situazioni caratteriali, ambientali e culturali, che portano ad agire nell'unico modo che è in quel momento sembra possibile, senza la consapevolezza di procurare danni. Anzi, spesso alcuni atteggiamenti provengono dalla 'buona fede' di forgiare il carattere del bambino e del futuro adulto. Dunque, responsabilità oggettiva, sì; intenzione di fare del male, no.
È più probabile che, durante la crescita, la mancanza o carenza di calore e di coinvolgimento affettivo, faciliti la possibilità di considerare ostile il mondo esterno. Il caso limite, benché tutt'altro che raro, è quello della famiglia in cui la violenza fisica e/o psicologica impone schemi di comportamento che il bambino riprodurrà negli ambienti frequentati. Anche atteggiamenti considerati 'normali', possono essere esempi negativi, anche in assenza di palesi violenze dirette. Pensiamo, solo per fare qualche esempio, alle acredini tra parenti, alle considerazioni spesso poco civili nei riguardi di chi reputiamo 'diverso' o dell'altra squadra di calcio, oppure del collega di lavoro, ai litigi continui tra genitori, con i vicini di casa e così via. Insomma, tutte quelle situazioni nelle quali la nostra aggressività, anche solo verbale, in presenza dei ragazzi, offre modelli distorti di condotta da imitare. Poi, spesso i genitori vogliono 'accelerare' la crescita dei propri figli e non solo con diete ipercaloriche, ma anche con continue raccomandazioni a essere degli 'ometti' in grado di reagire, di essere forti, di sapersi far rispettare, trascurando che l'armonico sviluppo di ogni bambino ha delle tappe che non si possono anticipare. La paura di non essere all'altezza delle attese dei genitori, può provocare diversi disagi tra i quali, appunto, comportamenti aggressivi. Anche uno stile educativo troppo permissivo può favorire disagio. L'autocontrollo si sviluppa attraverso il giusto dosaggio di negazioni e tolleranze. Il bambino deve sapere cosa può o non fare, senza tentennamenti: le ricompense e le punizioni, vanno date senza enfasi, ma con serena fermezza. Di solito, l'iperprotettività e l'eccesso di attenzioni, soffocano la possibilità del naturale e sano distacco dalle figure genitoriali e la costruzione di un'identità indipendente, che sembra mancare proprio ai ragazzi vittime di bullismo e che, come già detto, se prolungato nel tempo può condurre a cronicizzare la propria bassa autostima con conseguenze spiacevoli.
Sia ben chiaro che l'intervento sui casi di bullismo, non è di esclusiva pertinenza della famiglia, ma deve nascere dalla stretta e continua collaborazione con gli insegnanti. Olweus propone di:
- creare un ambiente scolastico (e se possibile un ambiente familiare) caratterizzato da affetto, da un coinvolgimento emotivo degli adulti e da interessi positivi;
- stabilire dei confini ben delineati rispetto a comportamenti inaccettabili, in modo tale che il messaggio comunicato univocamente sia 'Non accettiamo prepotenze e faremo il possibile per contrastarle';
- nel caso in cui le regole siano violate, applicare fermamente le sanzioni punitive stabilite insieme e divulgate (sanzioni non improntate a ostilità, né basate su coercizioni fisiche);
- pretendere dagli adulti (insegnanti genitori e personale non docente) un comportamento autorevole, non autoritario;
- creare una politica dell'istituto scolastico, una sorta di statuto, basata su obiettivi decisi insieme che diano agli alunni e agli adulti la dimostrazione tangibile che si stia facendo qualcosa contro questi comportamenti.
È necessario conoscere l'effettiva portata del problema, monitorando le variazioni nel tempo, attraverso incontri e dibattiti in cui genitori, insegnanti e personale non docente prendano coscienza del fenomeno e comprendano l'importanza dell'intervento e della costruzione di un buon clima scolastico. È importante supervisionare, a volte con discrezione, quei luoghi in cui si potrebbero verificare tali eventi (per esempio dove i ragazzi trascorrono la ricreazione o consumano i pasti). In classe si possono svolgere attività per migliorare la cooperazione e il rapporto tra gli alunni e verso gli insegnanti, stilando le regole antibullismo. Sarebbe utile a tal proposito, utilizzare stimoli letterari, video e qualsiasi altro strumento possa tornare utile. A livello individuale, sono utili interventi atti a cambiare il comportamento dei diretti interessati, attraverso colloqui con i bulli e le vittime, colloqui con i loro genitori, chiedendo l'intervento di specialisti che già operano nella scuola (equipe psico-pedagogica).
Insomma, l'obiettivo deve essere quello di sollecitare concetti e atteggiamenti che facilitino la comprensione di se stesso in armonia con gli altri, non descrivendoli come ostili, nemici, prevaricatori. Il mondo esterno è difficile, sì, ma ci si deve per forza vivere: con una corazza di peso sproporzionato addosso, l'esistenza si complica di molto. Favorire la cultura della solidarietà, non significa rendere troppo deboli i bambini, anzi. Un bambino che ha buoni esempi, non avrà paure esagerate e vivrà meglio la propria esperienza di essere umano.