Ognuno di noi ha una dura madre. Menomale direi, visto che stiamo parlando di un tessuto, una delle tre meningi che circondano e proteggono il nostro cervello. Nulla a che vedere con le “madri dure”, quelle persone cioè, che costringono i propri figli a una vita non degna di questo nome, quando addirittura non li privino della vita stessa. Nella Roma degli imperatori e nell’antica Grecia, l’infanticidio era a discrezione del pater familias, che aveva potere di vita e di morte sui propri figli. Soprattutto quando ne nasceva uno con qualche deformazione, il padre decretava l’eliminazione immediata. Ai giorni nostri i casi di figlicidio sono comunque tanti. Dal 2000 circa 22 bambini sono deceduti ogni anno a causa dei genitori. La gran parte delle volte è il padre a commettere l’infanticidio (il 65% circa). Se la notizia di un bambino ucciso provoca sempre profonda costernazione, quando a compiere o comunque a consentire il delitto, è la madre l’orrore è ancora più grande. Essa è, infatti, sinonimo di accudimento, di bontà, di tenere attenzioni, di amore incondizionato e non è facile immaginarla nell’atto di togliere la vita dopo averla partorita. Non mi riferisco alla solita icona melensa della donna “tenerina” e “deboluccia”. Tutt’altro, poiché le donne sono dotate di capacità e potenzialità naturali straordinarie, dovendo provvedere alla nascita della Vita.
Le cause del figlicidio
Alcune condizioni che precedono un figlicidio, possono essere, per esempio, la perdita prematura del marito, la convinzione di non essere una buona madre già dalla gravidanza, la separazione burrascosa dal compagno, la paura che in occasione di un divorzio le si porti via il figlio, fino ai casi di vera e propria psicosi nei quali la madre si sente spiata da qualcuno o qualcosa; è sicura che il figlio sia gravemente malato; che gli sia stato scambiato con un altro bambino subito dopo il parto; “voci” le ordinano di uccidere, e così via. Molti figlicidi avvengono entro i primi mesi di vita dei bambini, quando non si è ancora consolidato a dovere il rapporto tra madre e figlio e molto scarso è ancora quello con il padre. Una delle più importanti ricerche realizzate in questi ambiti, si deve allo psichiatra canadese Philip Resnick, che ha evidenziato cinque tipologie di figlicidio:
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psicotico. L’uccisione avviene in pieno delirio dovuto a una patologia psichica come la schizofrenia o una psicosi post-partum. A volte i disturbi non si erano evidenziati con chiarezza in precedenza oppure alcuni segnali sono stati sottovalutati o scambiati per comportamenti “strambi”;
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altruistico. Avviene quando la madre mette fine alle sofferenze, che siano vere o immaginarie, del proprio bambino;
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accidentale. Sono molti i casi di maltrattamenti, di trascuratezza o di punizioni troppo severe che portano al decesso. Di solito la madre non è intenzionata a uccidere, benché i risultati delle sue azioni siano oggettivamente troppo spinte e crudeli. È un passo oltre la ‘
sindrome del bambino maltrattato’, dove già è presente un comportamento aggressivo e sproporzionato in risposta, per esempio, alle grida e ai pianti del bambino;
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per un bambino non voluto. Succede quando la madre non ha mai accettato l’idea di avere un figlio e, nonostante abbia portato a termine la gravidanza e vissuto qualche tempo con il bambino, non è riuscita ad affezionarsi né a creare un minimo legame empatico;
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per vendetta. Quando si colpiscono i figli allo scopo di causare sofferenza al proprio compagno. In questa categoria rientra la ‘
sindrome di Medea’, personaggio della mitologia greca che fu abbandonata dal suo amante Giasone per sposare un’altra donna. Per vendicarsi, Medea uccise i figli nati dalla relazione con il capo degli Argonauti, diventando così, simbolo del dolore inferto per ferire il padre, per vendetta, appunto. Un’altra sindrome che può portare al decesso dei propri figli, è quella di ‘
Munchausen per procura’ in cui la madre inventa sintomi di malattie di cui il bambino in realtà non soffre, e a somministrargli medicinali e pratiche inutili quanto dannosi. Il piccolo è sottoposto a varie visite specialistiche e accertamenti diagnostici, ma per i medici è difficile sospettare che la causa dei problemi del bambino sia la madre, in quanto questa si presenta premurosa, collaborativa, e affabile. Il coniuge, al contrario, è solitamente remissivo o quasi del tutto assente. L’età media delle madri che compiono un figlicidio si aggira tra i 25 e i 30 anni e nella gran parte dei casi, la loro situazione socioeconomica è disagiata e la scolarità bassa.
In conclusione, le cause sono varie e oscillano dall’assenza di patologie psichiche a psicosi piuttosto gravi. Nella maggior parte dei casi il terreno fertile comune è costituito, ancora una volta, da povertà/ difficoltà economiche e basso livello di istruzione.
Se, finalmente, chi di dovere ponesse seria attenzione alle condizioni delle fasce più deboli e povere della società, all’indignazione fine a se stessa si sostituirebbero azioni concrete in grado di limitare al minimo questi e tanti altri crimini. Sperare non costa nulla...